Solo per sapere.

Vorrei sapere, ma non per eventualmente criticare, cosa ne pensano i parrocchiani di Dolo, Arino e Sambruson dell’eutanasia. Altrettanto vorrei conoscere il pensiero dei due o tre parrocchiani che siedono sugli “scranni” del Consiglio Comunale. Sono d’accordo con l’iniziativa del referendum abrogativo o applaudono monsignor Sigalini e la Chiesa in generale che d’accordo non sono? Sarebbe stato bello aprire un dibattito su questa battaglia di civiltà; ripeto , non per eventualmente criticare, ma semplicemente per sapere cosa ne pensano.

San Rocco non si è svegliato

San Rocco non si è svegliato nonostante i botti in suo onore. Dopo il miracolo della peste è caduto in un sonno talmente profondo da non essersi accorto che il cielo notturno di Dolo si era per lui illuminato a giorno. Sordo a scoppi e cieco  ai lampi dei fuochi artificiali? Non credo. Ogni Santo ha la sua specialità e il Covid non è la sua specialità. Peccato sarebbero stati soldi ben spesi se il gioco fosse valso la candela. Già, quanti soldi sono stati spesi per l’illuminazione artificiale notturna e soprattutto ne valeva la pena ? A soffrirne, perché sveglio, è stato il suo fedele cane che non ha capito cosa stesse succedendo e per la verità neanche il mio lo ha capito perchè si è messo a correre all’impazzata. Fra qualche tempo quando tutto sarà passato – futurum exactum- si dirà che grazie a San Rocco  anche l’opposizione è passata dalla parte della maggioranza e si griderà al miracolo. Con il Covid però non c’è stato nulla da fare.

La dimora di Eracle

La prima volta che nella tragedia greca compare il deus ex machina è nel Filottète di Sofocle. Scritta nel 409 a.C  Filottete è consigliato e convinto da Eracle (deus ex machina) ad imbarcarsi per Troia perché senza il suo arco la guerra sarebbe stata persa. A Dolo, piccolo borgo della Riviera del Brenta, Eracle ha stabilito da molti anni la sua dimora e senza perdere la sua antica passione di consigliare e convincere ha ritrovato nell’Amministrazione del Borgo il suo Filottète a cui dare, ex machina, consigli per il bene comune non senza argomentazioni appropriate e puntuali.  Più volte qualche amministratore  sacrifica un bue o un agnello macellati in giornata  per avere preziosi suggerimenti su questioni che , per propria incompetenza , non sa risolvere.  Sia chiaro che non c’è  niente di male affidarsi ad entità superiori, anzi nell’accettare e nel farsi spugna del dono si dimostra non l’uguaglianza, ma l’equivalenza fra l’eroe e l’uomo. Così è scritto nello Zarathustra.

L’ultimo albero di fico

Lateralmente al palazzetto dello Sport di Dolo c’erano tre magnifici alberi di fico dalle larghe foglie che ogni anno estate erano pieni di frutta. Diverse persone si fermavano sorprese da tanta abbondanza altre ne approfittavano per fare colazione. Fra queste ultime c’ero io e mi bastavano uno o due fichi per saziarmi ed in cuor mio ammiravo le piante per quella presenza del dare senza nessuna pretesa. Pensavo che l’ombra del fico era la migliore che ci potesse essere;  ti riparava dal sole saziandoti.  Di quelle tre piante ne è rimasta una, le altre hanno dovuto fare posto, per rispettare un ordine  geometrico ed estetico per quando sarebbero cresciute, ad altri alberi molto più giovani e sterili di frutta. Io e il mio cane ci siamo rimasti molto male. Due alberi di  fico , questi sì monumentali  perché simbolici di quello che Nietzsche  affermava nel suo Zaratustra a proposito del donare. Il donare di Zaratustra è un potere autonomo: non deriva da nessun altro potere, ma soprattutto non ha alcun modello di potere esterno, per cui dona i suoi frutti solo perché e nella misura in cui è capace di donare, può donare. Questa duplice autonomia da una causa metafisica e da un modello trascendente è fonte di salute: libera chi riceve da senso di impotenza derivante dall’impossibilità di ricambiare, così come libera chi dona dalla delusione di non venir ricompensato in modo adeguato. Rimane l’ultimo albero di fico che mi aiuterà ancora a riflettere sperando che “ Dolo città gentile” non se ne privi.

Unicuique suum

Si è persa la decenza! La conferenza dei Sindaci della Riviera del Brenta che mai ha preso una posizione forte per l’ospedale di Dolo ora si vuole intitolare un’ala del nosocomio mascherandosi dietro un Sindaco  da poco deceduto che ne faceva parte. Non ho visto incatenarsi nessun Sindaco davanti al continuo depauperamento della propria struttura ospedaliera. Ora si ergono ad eroi gli stessi che hanno promosso a pieni voti i mandanti e gli esecutori materiali  del delitto commesso ai danni dei propri concittadini. Così va la vita, ma davanti alla morte avrei preteso un po’ di verità, di rispetto e di coerenza. I meriti del nostro ex Sindaco sono stati tanti , avrei preferito che di quelli si parlasse .

Grat Grat Grat

Io non so come sia potuto accadere che un signore con l’accento sulla “ i ” sia stato nominato  vice Presidente della Regione Calabria dalla  ex Presidente Santelli  che rispetto come tutti i morti. Spirlì che parla con tutti , ma non con  Gino Strada definito il demonio e che definisce Salvini il meglio della Regione Calabria. Non capisco  neppure come  l’assessore al Bilancio sia un signore di cognome Talarico dell’UDC ora all’arresto e posto ai domiciliari. Capisco però Gratteri che ha ben compreso perchè in Calabria si campa solo d’aria. Non di ospedali, non di strade, non di ferrovie e neanche di Cimiteri perché se proprio devi morire, devi morire ucciso.

Se non ci fossero i poeti.

Nel gennaio del 1988 Emanuele Severino pubblicava un articolo dal titolo “ L’orrendo volto della nuda verità “ nel quale affermava che c’è un solo mondo , ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso e che se ancora si vuol usare la parola  “ vero”, si può dire che un mondo così fatto è il vero mondo. Continuava dicendo che noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa verità, cioè per vivere.

“ Per noi, cioè per l’uomo come per lo più vive , significa vincere la verità, cioè impedire di agire su di noi e di paralizzarci. La verità, il mondo così com’è, ha un volto orrendo. Guardarlo è perire. Bisogna dunque coprirlo per sopravvivere . E ciò che copre la verità è menzogna. La verità è brutta, ma abbiamo l’arte per non perire a causa di essa”.

In questa uggiosa domenica di gennaio leggo poesie e penso che Platone avesse proprio ragione a cacciare i poeti e gli artisti in generale-mentitori per eccellenza-  dallo Stato, ma oggi  non ne posso fare a meno se voglio sopravvivere.

Divagazioni .

Un secondo, dopo un secondo dalla morte si diventa imperfetto. Non più sei, ma eri. Ogni istante noi sperimentiamo il nostro morire , non siamo più quelli di un secondo prima anche se commettessimo un delitto. Si è sempre giudicati in contumacia perché non è possibile essere presenti al giudizio. Destinati sempre a raggiungere l’atto senza mai sfiorarlo, il suc-cès-so è fenomenologia del nostro stare al mondo e dunque del nostro de-sti-no dove il “de” non è un “da” preveniente,  ma è un rafforzativo del diveniente altro . Come dimostra Emanuele Severino ( meglio l’imperfetto dimostrava) il legno è cenere.  Solo gli enti sono eterni.

“Comoedia est imitatio vitae..”

E’ da molto tempo che il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica rimane il giorno dopo vano. Tutti i partiti politici sono d’accordo sulla giustezza delle parole , ma poi ricominciano con il solito balletto  e già dopo l’epifania sono con il coltello fra i denti. Insomma la solita manfrina. Anche il Natale per la maggior parte è fatto di buoni propositi  che il giorno dopo svaniscono come neve al sole ed è mimesis dunque di quello che succede sul palcoscenico alto. L’ipocrisia come ha detto Papa Francesco uccide le persone e arriva a strapparne l’anima . I nostri rappresentanti rappresentano la maggior parte di noi stessi . Facciamocene una ragione.  Continuiamo a turarci il naso e avanti tutta. Cicerone aveva ragione  quando affermava  che la commedia è imitazione della vita, specchio dei costumi e immagine della realtà.

“Soltanto dal pugno chiuso può nascere una carezza”

Ad Arino, più di mezz’ora di botti  per la fine del 2020  ed io e il mio cane ci siamo domandati il perché di tanta euforia. Quattro ore prima della mezza notte il nostro Presidente della Repubblica aveva invitato gli Italiani al comune sentire dell’Unita a fronte e della crisi economica e dei lutti che ci sono stati in molte famiglie. Con un ossimoro si potrebbe dire che siamo un popolo disunito e compatto e comunque in forte antitesi come le dita della mano allargate e il pugno chiuso. Nessun rispetto ieri notte per la gente che è morta, per quella che attualmente soffre ed è isolata nei vari ospedali. Mors tua vita mea, questo si è voluto significare allo scoccare della mezza notte. Il pugno negli ospedali e nei luoghi di sofferenza e le dita allargate fuori a festeggiare  il nuovo domani rispetto a ieri come se tutto all’improvviso fosse cambiato in un minuto. A quei simbolici quattro coglioni, espressione dell’Unità del Paese, va il mio più profondo vaffa. Anche il mio cane la pensa così e mi ha dato la zampa a mezzanotte e leccandomi, mi ha asciugato una lacrima dal mio viso.